The article analyzes US President Donald Trump's imposition of tariffs, claiming his calculation method—half the tariff imposed on US goods by other countries—is flawed. It highlights that the tariffs are not fully reciprocal.
The article uses Vietnam as a prime example of the uneven impact. Vietnam, a major production center for sporting goods brands, faces a 46% tariff. This is a consequence of Vietnam's growing role as a manufacturing hub in response to the rise of tariffs in China.
These tariffs will likely lead to increased prices for US consumers.
The analysis points out that Trump's argument that the EU imposes a 39% tariff on US goods is inaccurate, as it incorrectly includes VAT as a tariff. VAT is a consumption tax and should not be equated with protective tariffs.
The article provides a comprehensive list of countries affected by the US tariffs and the corresponding percentage.
di Massimiliano Jattoni DallâAsén
Le voci della tabella presentata da Trump: la lista completa dei Paesi, con tutte le percentuali. Lâesempio dellâIva, considerata un dazio
Il presidente Donald Trump alle 22 (ora italiana) del 2 aprile, dal Giardino delle Rose della Casa Bianca, ha sferrato il suo attacco al mondo, annunciando i «dazi reciproci» che gli Stati Uniti introdurranno nei confronti di tutti i Paesi del globo terracqueo. Lo ha fatto con i suoi consueti toni e davanti alla stampa riunita, illustrando le cifre abbinate a ogni singolo Paese attraverso una tabella con lâelenco delle nazioni «colpite» dai provvedimenti e relative tariffe che, in realtà , non saranno completamente reciproche.Â
Nel corso del suo speech, Trump ha detto anche che i dazi sarebbero stati in vigore a partire dalla mezzanotte, ma, subito dopo, la Casa Bianca ha precisato che le tariffe saranno effettive tra il 5 e il 9 aprile, in una sorta di calendario scaglionato. Sabato 5 aprile, alle 6, ora italiana, entreranno in vigore i dazi del 10%; mentre mercoledì 9 aprile, alla stessa ora, quelli di oltre il 10% imposti sui beni importati negli Stati Uniti da Paesi come Cina e Unione Europea.Â
Nel «giorno della liberazione», il tycoon ha dunque promesso il ritorno di posti di lavoro negli Stati Uniti e ha insistito nel voler dare priorità al proprio mercato interno. «Significherà l'età d'oro per l'America», ha detto, «che arriverà presto». Ma è davvero così?
Innanzitutto, proviamo a capire qual è il criterio adottato dall'amministrazione Trump e che ha portato a questo elenco. La Casa Bianca ha applicato un calcolo molto semplice: dazio pari alla metà di quello subito dagli States da parte dei vari Paesi. Secondo questo criterio, in cima alla lista delle imposizioni doganali è finita la Cina, che impone dazi del 67% e verrà dunque colpita da tariffe del 34%. Contro l'Unione europea, che protegge secondo Trump la sua produzione, compresa quella italiana, con gabelle del 39%, e che per il presidente ha «derubato» lâAmerica, gli Usa reagiscono ora con tariffe del 20% (quindi una ritorsione che arrotonda leggermente per eccesso lâannunciata «metà »).Â
Poi, ci sono Taiwan (32%), Giappone (24%), India (26%), Corea del Sud (25%), Svizzera (31%), fino al Regno Unito. Londra è destinataria di un aumento dei dazi pari solo al 10%, in linea con quelli adottati nei confronti degli Stati Uniti. Alcuni Paesi, invece, sono colpiti in maniera davvero eccezionale. Quello più «tartassato», con il 46%, è il Vietnam, che ha un surplus commerciale di 123,5 miliardi di dollari con gli Stati Uniti. Il Vietnam, però, è diventato negli anni un centro di produzione di scarpe da corsa, abbigliamento sportivo e outdoor ad alta tecnologia: nel Paese asiatico i marchi hanno cercato di ridurre l'esposizione alla Cina.Â
A partire da Nike. Il celebre marchio di abbigliamento sportivo dipende, infatti, fortemente dal Vietnam. Secondo il suo rapporto annuale, Nike ha prodotto nel Paese asiatico il 50% delle sue calzature e il 28% dei suoi capi di abbigliamento nell'anno finanziario 2024. La rivale Adidas, invece, è un po' meno esposta e conta sul Paese asaitico per il 39% delle sue calzature e il 18% dei suoi capi di abbigliamento. Lâattacco commerciale al Vietnam è, per noi, un ottimo esempio per raccontare lâaltra faccia della medaglia delle scelte di Trump. Spostare la produzione dal Vietnam non è una questione semplice per i brand sportivi. Anche altri Paesi del Sud-Est asiatico, come la Cambogia e l'Indonesia, hanno infatti subito dazi (rispettivamente del 49% e del 32%). L'aumento delle tariffe verso i prodotti importati dal Vietnam, dunque, costringerà nellâimmediato i marchi ad assorbire costi maggiori e, probabilmente, ad aumentare i prezzi. Prezzi che pagheranno, alla fine, i cittadini americani. E questo non avverrà , ovviamente, solo per le sneakers (leggi qui un altro esempio: il caso delle lavatrici).
Le argomentazioni di Trump sono indubbiamente accattivanti per il suo elettorato, ma le accuse che muove non partono da dati sempre reali. Ad esempio, quando dice che lâUnione Europea impone dazi sulle merci degli Stati Uniti del 39% sbaglia. Perché, come ben sappiamo, noi su quelle merci paghiamo anche lâIva. Ma lâImposta sul valore aggiunto, come la sales tax Usa, non fa distinzioni sulla provenienza delle merci. Nei giorni che hanno preceduto il roboante annuncio nel Giardino delle Rose, Trump ha usato lâIva come uno degli argomenti per spiegare la sua «guerra commerciale». Secondo la sua idea, «lâIva è un dazio» e come tale è unâimposta che contribuisce a spiegare il disavanzo commerciale degli Stati Uniti con lâUnione europea (236 miliardi di dollari nel 2024). In sostanza, la sua idea (ma non solo sua, va detto), è che un sistema di imposta sul valore aggiunto fornisca sussidi alle esportazioni e agisca come una tassa sulle importazioni. Questo, semplicemente, non è vero.Â
Per capire bene dove sta lâ«inciampo» di Trump bisogna tenere presente che un dazio è unâimposta diretta a colpire solo i beni importati in un Paese col fine di scoraggiarne il consumo e renderli dunque più costosi dei beni prodotti internamente al Paese stesso. I dazi sono, dunque, uno strumento di politica protezionista. LâIva, invece, è unâimposta che tassa nello stesso modo tutti i beni consumati allâinterno di un Paese. Insomma, non fa distinzione sulla provenienza del bene (per intenderci, un elettrodomestico importato dagli Stati Uniti è appesantito dalla stessa Iva che grava su un elettrodomestico prodotto in Italia). Dunque, non vi è nella sua applicazione nessun intento di limitare le importazioni. Eâ però importante sottolineare che se noi, come vorrebbe Trump, non imponessimo lâIva ai prodotti made in Usa come la imponiamo ai beni prodotti in Italia, saremmo nella paradossale situazione di privilegiare le merci importate. Queste, infatti, sarebbero meno costose di quelle prodotte in Italia e, di fatto, godrebbero addirittura di una sorta di sussidio di Stato.Â
Ecco lâelenco completo dei Paesi colpiti dai dazi americani, rigorosamente in ordine alfabetico: Algeria 30% Angola 32% Bangladesh 37% Bosnia Erzegovina 36% Botswana 38% Brunei 24% Cambogia 49% Camerun 12% Ciad 13% Cina 34% Corea del Sud 26% Costa dâAvorio 21% Filippine 18% Fiji 32% Giappone 24% Giordania 20% Guinea Equatoriale 13% Guyana 38% India 27% Indonesia 32% Iraq 39% Isole Falkland 42% Israele 17% Kazakistan 27% Laos 48% Lesotho 50% Libia 31% Liechtenstein 37% Macedonia del Nord 33% Madagascar 47% Malawi 18% Malesia 24% Mauritius 40% Moldova 31% Mozambico 16% Myanmar 45% Namibia 21% Nauru 30% Nicaragua 19% Nigeria 14% Norvegia 16% Pakistan 30% Repubblica Democratica del Congo 11% Serbia 38% Sudafrica 31% Sri Lanka 44% Svizzera 32% Siria 41% Taiwan 32% Thailandia 37% Tunisia 28% Unione Europea 20% Vanuatu 23% Venezuela 15% Vietnam 46% Zambia 17% Zimbabwe 18%
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3 aprile 2025 ( modifica il 3 aprile 2025 | 11:34)
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