Papa Francesco ha spalancato le porte della Chiesa, l’ha voluta aperta come il sepolcro di Cristo nel giorno della Resurrezione. Non credo sia un caso se il Padre l’ha chiamato a sé proprio in questo giorno così carico di significato.
«Non cercate tra i morti colui che è vivo», dice l’Angelo alle donne venute a onorare il corpo di Gesù. E Francesco ci ha sempre spronato a costruire una Chiesa più viva, più consapevole, più in relazione col mondo. «Una Chiesa accidentata, ferita e sporca per essere uscita per le strade».
È proprio in questa dimensione della strada che ci siamo incontrati. La strada come luogo di domande, di verifica del nostro sapere e persino del nostro credere, dove l’astrazione si misura e talvolta si scontra con il concreto della vita. Spesso il Papa ha dimostrato che la vita degli esseri umani, con le loro fragilità e contraddizioni, gli stava a cuore più di certe rigidità dottrinali. Ha amato i poveri, gli ultimi, i diseredati, i maltrattati del pianeta, e ha messo in guardia questo nostro mondo sempre più diseguale sui rischi che tutti corriamo se abbandoniamo una parte dell’umanità all’ingiustizia.
Piergiorgio Odifreddi 21 Aprile 2025
Ricordo con emozione la prima volta che ci siamo incontrati, in occasione della Giornata della memoria e dell’impegno del 2014. Lui aveva accettato di incontrare un migliaio di famigliari delle vittime innocenti delle mafie nella Chiesa di San Gregorio VII a Roma, regalando loro un incoraggiamento fraterno e sincero: «Preghiamo insieme, tutti quanti, per chiedere la forza di andare avanti, di continuare a lottare contro la corruzione». Aveva però anche chiamato in causa «i grandi assenti», «gli uomini e le donne mafiosi». «Per favore, cambiate vita, convertitevi, fermatevi, smettete di fare il male! - aveva implorato -. Convertitevi, lo chiedo in ginocchio; è per il vostro bene. Ancora c’è tempo, per non finire all’inferno».
Parole altrettanto forti hanno segnato, più di recente, l’incontro con un gruppo di donne che stanno faticosamente rompendo il legame con le famiglie mafiose di origine. «Siete nate e cresciute in contesti inquinati dalla criminalità mafiosa, e avete deciso di uscirne. Benedico questa vostra scelta, e vi incoraggio ad andare avanti. Immagino che ci siano momenti di paura, di smarrimento... è normale. In questi momenti pensate al Signore Gesù che cammina al vostro fianco. Non siete sole, continuate a lottare».
Il suo messaggio si è sempre espresso in queste due forme: vicinanza a chi soffre e denuncia di ciò che causa la sofferenza. E una grande spinta a tutti gli uomini e le donne di buona volontà per cambiare le cose. L’abbiamo sentita, questa spinta, anche quando ci ha accolti in Vaticano per il convegno sull’uso sociale dei beni confiscati alle mafie: un tema che non si pensava potesse rientrare fra gli interessi della Chiesa, e che lui ha invece sentito importante nella sua concretezza e capacità di incidere nel contrasto al male e nella ricostruzione del bene comune.
Oggi leggiamo e ascoltiamo molte parole di cordoglio, anche da parte di persone “in vista”, con responsabilità ai vertici dell’economia e della politica. È un bel segnale. Ma suscita invece dolore constatare che alcuni di coloro che lo celebrano in morte, non hanno mai raccolto le sue raccomandazioni da vivo! Anzi hanno fatto scelte del tutto opposte, non solo alle parole del Papa, ma anche alla Parola evangelica di cui Francesco è stato puntualissimo interprete.
Questa incoerenza si smaschera facilmente se pensiamo ad alcuni temi in particolare, primo fra tutti quello delle migrazioni. «Deportare le persone lede la dignità umana», aveva scritto pochi giorni prima di essere ricoverato, come reazione ai migranti in catene negli Stati Uniti, ma anche a quelli sballottati da una costa all’altra del Mediterraneo, nel tragico tentativo di “spostare altrove” problemi che sono in realtà volti, nomi, corpi e speranze umane.
Pensiamo a un altro argomento scomodo, quello delle carceri. Papa Francesco ha voluto aprire una Porta Santa del Giubileo nella Chiesa del carcere di Rebibbia, mentre la vigilia di Pasqua si è recato nel carcere di Regina Coeli. «La reclusione - ha detto - non è lo stesso di un’esclusione, dev’essere parte di un cammino di reinserimento nella società». Nessun appello per l’indulto o l’amnistia ha però mai trovato ascolto.
L’INTERVISTA Fulvia Caprara 21 Aprile 2025
E che dire dell’ambiente o delle ingiustizie sociali? Il monito a una “conversione ecologica” è stato costantemente ignorato: troppo difficile rovesciare i nostri stili di produzione e consumo. Troppi privilegi messi a rischio da una concezione nuova dell’economia come strumento al servizio delle persone, quando masse di persone senza tutele oggi invece “servono” all’arricchimento di pochi.
I poveri, che Papa Francesco aveva più di tutti nel cuore, sono ancora tanti, e immensamente poveri. Le guerre, contro le quali ha tuonato - è davvero il caso di dirlo - fino all’ultimo respiro, non concedono respiro ai popoli martoriati.
Privati della sua guida, dobbiamo cedere alla disperazione? No, perché il lutto che viviamo porta in sé il segno della speranza e della Resurrezione. «La speranza non delude» è l’esortazione scelta per l’anno giubilare, e oggi più che mai Papa Francesco ci chiede di non deludere chi ancora ripone speranza nel nostro impegno. Glielo dobbiamo, e lo dobbiamo a noi stessi, di tenere il suo passo, e la sua strada.
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