Robert F. Kennedy Jr.'s claims about autism, asserting it's an environmental issue and portraying autistic individuals negatively, are analyzed. The article criticizes his dehumanizing rhetoric, which echoes eugenicist tropes. Kennedy Jr.'s statements are deemed irresponsible, given his position and influence.
The piece refutes Kennedy Jr.'s assertions, citing scientific research showing that increases in autism diagnoses are due to expanded diagnostic criteria and increased awareness, not an actual epidemic. It emphasizes that debunking his falsehoods with data alone is insufficient.
The core issue is reaching those who support such narratives. The article explores why people embrace conspiracy theories, suggesting it stems from a lack of real alternatives, years of exposure to divisive content, and a perceived abandonment by the left.
The article connects the spread of misinformation to broader societal issues such as the erosion of trust in science and institutions, exacerbated by the pandemic. It argues that social media algorithms reinforce existing beliefs rather than providing balanced information. The response must go beyond fact-checking, needing a collective response to address the root causes of societal anxieties.
Kennedy Jr.'s statements are not merely isolated incidents but serve a strategic purpose. They create distractions from real systemic issues while undermining social programs and institutions. The article emphasizes the insidious nature of his rhetoric, framing autistic individuals as a scapegoat to deflect anxieties.
The author advocates for a deeper social response. Addressing the underlying social and economic issues, fostering community building, and strengthening social services are presented as crucial steps to counter misinformation and create a more inclusive society.
Durante la prima conferenza stampa come segretario alla Salute degli Stati Uniti, il 16 aprile 2025, Robert F. Kennedy Jr. ha annunciato un piano per indagare le presunte «cause ambientali» dell’autismo. Ha definito la condizione una «epidemia» dichiarando che «l’autismo distrugge le famiglie e, cosa ancora più importante, distrugge la nostra risorsa più preziosa: i nostri bambini» e che le persone autistiche «non pagheranno mai le tasse, non avranno mai un lavoro, non giocheranno mai a baseball, non scriveranno mai una poesia, non usciranno mai a un appuntamento. Molti di loro non useranno mai il bagno senza assistenza».
È una dichiarazione politica con implicazioni concrete poiché Kennedy Jr. possiede i mezzi per trasformarla in realtà indirizzando la ricerca, scegliendo quali studi finanziare, ridefinendo le priorità dei servizi, decidendo come le persone autistiche vivranno e come saranno percepite dalla società nei prossimi anni.
In questa narrazione disumanizzante che riecheggia la retorica eugenetica, le persone autistiche sono problemi da risolvere, sono improduttive, costose, inutili. Non a caso la prima affermazione tra ciò che presuntamente non possono fare è che «non pagheranno mai le tasse». Non che non scriveranno poesie, o che non vivranno relazioni significative (cose comunque false), ma che saranno un peso economico, un fardello per lo stato e dunque per l’intera società. È la costruzione dell’ennesimo nemico.
Paradossalmente, però, il cuore del problema non è nemmeno questa vecchia storia sull’autismo. Perché smontare le affermazioni di Kennedy Jr. è un esercizio fin troppo semplice che la scienza – grazie a una mole di studi e metanalisi – continua a ripetere da anni per arginare narrazioni infondate e menzogne. Le cause dell’aumento delle diagnosi sono note e ampiamente documentate: l’allargamento dei criteri diagnostici, la crescente consapevolezza tra professionisti e famiglie, la sostituzione diagnostica che ha spostato etichette da altre condizioni verso lo spettro autistico.
Diverse ricerche hanno infatti chiarito che l’aumento delle diagnosi di autismo non significa che ci sia un’“epidemia”. Per esempio, un’analisi di Shattuck sulla sostituzione diagnostica nei sistemi educativi statunitensi mostra come il dato sia legato a un cambiamento nei criteri e non a un reale incremento dei casi. La Lancet Commission del 2022 è esplicita nel respingere la narrativa dell’epidemia, e invita a focalizzarsi su inclusione, supporto e valorizzazione della neurodiversità. E studi come quelli di Gernsbacher, Fombonne, Elsabbagh o una metanalisi pubblicata su Autism Research, confermano che questa narrativa allarmista non ha basi scientifiche.
Tutto questo è già stato detto, spiegato, dimostrato. Eppure non basta.
E non basta perché il problema non è solo rispondere con i dati a dichiarazioni irresponsabili e false. Il vero problema è raggiungere chi dalla base quella politica l’ha sostenuta, l’ha votata. Chi ha abbracciato la retorica dei complotti, chi crede a racconti creati per distrarre e confondere, per spostare lo sguardo dalla vera radice della crisi in cui ci troviamo, dalle disuguaglianze di un sistema fuori controllo. Ma perché ci credono? Liquidare milioni di persone come ignoranti, o dire che “non leggono”, come fanno certi commentatori paternalisti da salotto, è superficiale e pericoloso. È un’analisi pigra che non coglie la radice del problema.
Chi oggi abbraccia teorie complottiste lo fa spesso in assenza di alternative reali, dopo anni di esposizione a contenuti creati per colmare quel vuoto: semplificare, consolare, offrire una risposta, qualunque essa sia. Sono persone che cercano giustizia, sicurezza, stabilità. E tutto questo non l’hanno trovato in una sinistra che ha voltato loro le spalle abbandonando la lotta di classe e rifugiandosi in una retorica elitaria e compiacente, più attenta al riconoscimento interno che alla trasformazione della realtà.
La sfiducia nella scienza e nelle istituzioni, che già serpeggiava da anni, durante la pandemia ha trovato un terreno estremamente fertile. Una comunicazione spesso inefficace e contraddittoria che in modo paternalistico ha infantilizzato la cittadinanza, ha scavato un solco profondo tra sapere esperto e opinione personale. In quello spazio si è fatta largo un’alternativa seducente: il pensiero magico del «ti dico io cosa non vogliono che tu sappia». E in tutto questo, i social network si sono trasformati in ecosistemi chiusi in cui l’algoritmo non informa, conferma ciò che già si pensa, ciò che si è disposti a credere.
Chi abbraccia queste narrazioni non sta cercando dati, sta cercando un’identità, un gruppo, un senso. La razionalità è diventata controcultura e il diritto di avere un’opinione diversa, anche quando si parla di fatti verificabili, è diventato lo scudo perfetto per qualunque delirio. Basta che sia rassicurante.
Torniamo un attimo alle dichiarazioni di Kennedy Jr., perché affermazioni come la sua non sono semplici uscite infelici, sono strumenti e producono effetti a catena. Il primo è immediato, visibile: ci indigna, ci mobilita, ci spinge a intervenire. E così, mentre reagiamo – giustamente – a quelle parole, perdiamo di vista ciò che accade dietro le quinte.
Non è distrazione casuale, ma una precisa strategia: si sollevano polveroni per oscurare le manovre strutturali. Mentre l’attenzione pubblica si concentra sulla provocazione, viene smantellato lo stato sociale, si svuota la sanità pubblica, si distrugge l’istruzione e si tagliano i diritti. In silenzio. Nell’indignazione generale, il sistema agisce indisturbato.
Ma c’è un livello più profondo e insidioso. Il discorso di Kennedy Jr. non è solo una sequenza di falsità, è un dispositivo retorico ben rodato che inoltre attinge a piene mani dal repertorio eugenetico dei primi del Novecento. Le persone autistiche vengono descritte come esseri incompleti, condannati all’infelicità, incapaci di contribuire alla società e dunque da correggere, isolare o rimuovere.
Questo tipo di narrazione non è casuale ma nasce da una logica precisa: la produzione del capro espiatorio. Serve un colpevole, sempre, ne servono tanti. Colpevoli su cui convogliare l’ansia sociale, la frustrazione frutto del senso di precarietà ormai strutturale. E allora dopo i migranti, dopo le persone lgbtqia+, dopo le persone disabilitate e i poveri – che se non sono ricchi è per colpa loro – ora tocca alle persone autistiche.
Potrei continuare a citare dati, articoli e studi, potrei fare fact-checking fino alla fine dei tempi. Ma so che tutto questo non sposterà di un millimetro le convinzioni di chi ha deciso di credere a Kennedy Jr. perché quella fede è appartenenza a un culto, è aggrapparsi a un’identità che dà sicurezza. E la verità in confronto è fragile e scomoda.
Raccontare le cose per come stanno è importante. Correggere le falsità, portare i dati, denunciare la retorica tossica è necessario. Ma non basta. Perché il problema è che certe bugie trovano terreno fertile in una società che ha perso la capacità di rispondere collettivamente alla paura. Le persone che si sentono sole, tradite e impoverite, trovano in quelle narrazioni una comunità, un’identità in cui rispecchiarsi e anche un nemico da odiare.
Serve tornare a fare politica. Dobbiamo tornare a scendere in piazza. Serve costruire alleanze, legami, comunità che sappiano accogliere la frustrazione e il disagio e dare risposte concrete. Serve capire, finalmente, che se i diritti civili non sono sostenuti da diritti sociali, da servizi pubblici, da una reale redistribuzione della ricchezza e del potere, saranno sempre fragili, sempre in balìa del mercato o di qualche Kennedy di turno. Senza consapevolezza di classe, senza la coscienza della propria posizione sociale e la costruzione di alleanze collettive, la libertà rimane una merce in mano di chi può permettersi di comprarla, controllarla, manipolarla.
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