L’Iran all’angolo: tutti i dilemmi di un regime debole


Israel's recent attack on Iranian nuclear sites has escalated tensions, forcing Iran to consider its response amidst the high risk of being crushed between Tel Aviv and Washington.
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Con l’operazione “Leone nascente” non viene colpita solo la corsa al nucleare del regime iraniano. Ora Teheran è in guerra e deve reagire. Ma i rischi di finire stritolata nella morsa tra Tel Aviv e Washington sono altissimi

L’attacco israeliano pone la Repubblica islamica di fronte a un dilemma tragico. Con l’operazione “Leone nascente”, infatti, non viene colpita solo la sua corsa al nucleare, danneggiata dal bombardamento di siti come Natanz e dall’eliminazione dei vertici del programma scientifico che lo sorregge, e intaccata la sua catena di comando militare, pur prontamente ricostituita.

L’attacco al nucleare e l’uccisione di Hossein Salami, il capo dei Pasdaran, del capo di stato maggiore delle forze armate Mohammad Bagheri, del consigliere politico di Ali Khamenei, Ali Shamkhani, interpretata a Teheran come un colpo rivolto direttamente alla guida suprema, precipita l’Iran in quella che, entrambi i contendenti, definiscono apertamente una guerra.

La reazione di Teheran

Una guerra che non sarà più guerra in forma, limitata e controllata nell’impatto, come quella praticata lo scorso anno dai due storici nemici: le regole del conflitto a bassa intensità sono definitivamente saltate. La portata dell’attacco fa capire che, al di là del nucleare, il principale obiettivo di Israele è la caduta del regime iraniano.

Quanto a Teheran, che innalza sul tetto delle moschee la bandiera rossa simbolo dell’ingiustizia storicamente patita dagli sciiti e con Khamenei parla del «destino amaro e della dura punizione» che attende Israele, sa che, questa volta, le parole non possono ridursi a rumore di fondo.

Scatenando il “Leone” Israele ha messo in discussione la prospettiva strategica su cui il regime aveva puntato dopo l’uscita degli Usa, voluta dalla prima presidenza Trump su pressione di Benjamin Netanyahu, dall’accordo nucleare siglato da Barack Obama.

Minaccia nucleare

Una scelta che ha consentito agli oltranzisti, nel clero conservatore come tra i Pasdaran e le forze armate, di premere per spingere l’arricchimento dell’uranio sino al suo potenziale uso militare. Convinti che la ”bomba” sia l’unico deterrente capace di garantire la sopravvivenza della Repubblica islamica in un contesto in cui Israele ne è in possesso e nel quale, non solo l’odiata e oscillante America, ma nemmeno le più vicine Russia e Cina, si spenderebbero per difenderla. Prospettiva, invece, indigeribile per Israele, che nell’Iran vede il principale ostacolo alle proprie istanze di sicurezza e alla sua politica annessionista.

Il gruppo dirigente iraniano si interroga ora su come reagire. Israele ha mostrato, ancora una volta, che la sua aviazione può penetrare senza troppi problemi le difese iraniane e che il livello di infiltrazione nel paese del Mosssad, già evidente nella vicenda di Ismail Haniyeh, è elevatissimo.

Teheran sa che lanciare droni e missili, destinati in gran parte a essere abbattuti dallo scudo Iron Dome, non avrà particolare impatto militare. Ma se, dopo i colpi ricevuti, il regime si piegasse alla pressione di Donald Trump – che con la sua poco neutrale “non interferenza” ha consentito l’attacco israeliano, definito «eccellente», e prospettato il peggio agli iraniani nel caso non accettassero la sua proposta d’accordo, rinunciando totalmente al nucleare, anche a quello civile – potrebbe forse sopravvivere ma sarebbe radicalmente indebolito.

La Repubblica islamica apparirebbe, davvero, come una vecchia «tigre di carta», incapace di difendersi. Dicono i duri a Teheran: se ora facciamo queste concessioni, le prossime che ci chiederanno cosa riguarderanno? Difficile, intanto, che ancora sotto attacco, l’Iran decida di andare a discutere del nucleare in Oman con gli Usa.

I rischi per il regime

Il regime sembra rassegnato a una “guerra lunga”. Un tipo di conflitto in cui una massiccia campagna di bombardamenti e le sofisticate operazioni di intelligence dello stato ebraico, potrebbero mettere, socialmente e economicamente, all’angolo l’Iran, intaccandone drasticamente il livello di vita e di sicurezza.

Criticità che, sapientemente alimentata da fuori, potrebbe sfociare nella ripresa delle proteste di massa: sino allo sbocco insurrezionale mirato al dissolvimento della Repubblica islamica.

Per contenere un simile rischio, il potere cercherà di far leva sull’orgoglio nazionale degli iraniani che mal sopportano le coercizioni esterne. Ma dopo la “rivolta del velo”, il regime è delegittimato, anche se gode ancora di consenso in parte della popolazione.

Per sfuggire alla morsa di Israele e dell’America, l’Iran potrebbe anche tentare di spostare il conflitto sul terreno non convenzionale, attivando strategie mirate a mettere in crisi il sistema di alleanze di Israele e gli Usa, dentro e fuori il Medio Oriente. Innescando una guerra asimmetrica destinata a provocare instabilità, tale da costringere gli alleati di Israele a cercare soluzioni che non lascino totali margini di manovra a quello che a Teheran viene, specularmente, percepito come il “nemico esistenziale”.

© Riproduzione riservata

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