Niente è più ingannevole dell’identità. Me l’ha insegnato il sesso


The author reflects on how Lawrence Durrell's Alexandria Quartet shaped their understanding of identity and the transformative power of sex.
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Tra letteratura e desiderio, segni zodiacali e identità fluide: il Quartetto di Alessandria di Durrell diventa una guida di formazione. Un viaggio tra Clea e Justine, dove l’amore e il sesso insegnano che nessuno è mai soltanto una cosa sola

Ogni tanto qualcuno per spiegare il mio carattere nomina il rapporto tra segno zodiacale e ascendente. Non solo il mio, certo, ma se già quando si parla di me mi distraggo, figuratevi quanto la mia attenzione possa soffermarsi sul rapporto tra segno zodiacale e ascendente “in generale”. E non perché non creda che la mia vita, la vita di chiunque, possa oscillare tra due diverse densità, due posture, due filosofie avremmo detto nel Novecento.

Al contrario. E almeno per quanto riguarda me sono in grado di dare addirittura un nome a queste due filosofie. E se questi nomi non sono “segno zodiacale” e “ascendente” dipende solo dal fatto che nella mia vita l’unica astrologia a cui presto fede è la letteratura.

Avevo circa 14 anni. Era il tempo della vita nel quale l’orizzonte è occupato dai sogni d’amore di avventura. Sbatacchiata, come tutti, affamata e piena d’energia. Il mio corpo e il mio cuore erano ancora abbastanza duttili da poter essere plasmati, aderire ad altri corpi ed altri cuori fino a dimenticarsi di sé stessi.

Ma non capivo niente, sapevo solo ridere e piangere. Ridevo e piangevo senza passare mai da una condizione di quiete che mi consentisse di capire se non chi ero almeno dove ero e cosa stavo facendo. Leggere era l’unico modo per star ferma. Non c’era un tempo, se non quello della lettura, in cui non sentissi il corpo ruggire, l’emozione tracimare, la rabbia, l’angoscia, la gioia sbattere da una parte all’altra del mio cervello. E il desiderio togliermi il fiato. Leggevo letteralmente tutto quello che potevo, e mi piaceva tutto. I miei libri preferiti erano quelli non adatti alla mia età, romanzi dei quali intuivo la pericolosità, che ci passavamo quasi di nascosto.

Tra questi, un romanzo diviso in quattro volumi, non troppo famoso, ambientato ad Alessandria d’Egitto negli anni Trenta. Ho letto il primo, e poi di seguito gli altri tre. E poi ho ricominciato da capo e li ho letti tutti e quattro di nuovo. Quando sono uscita da quella lettura forse non sapevo ancora chi ero, ma avevo capito cosa volevo essere, e che negli anni a venire una parte fondamentale della conoscenza sarebbe arrivata dal sesso.

I libri di Durrell

Dell’autore, Lawrence Durrell, negli anni ho letto poi quasi tutto ma niente è come i quattro libri che compongono il quartetto di Alessandria. Tranne forse il carteggio con Arthur Miller, suo grande amico: I fuorilegge della parola.

Lawrence Durrell è il fratello di Gerald, etologo, autore de La mia famiglia e altri animali. Scrive: «Larry passava le giornate là dentro con la sua macchina da scrivere e ne usciva con aria sognante solo all’ora dei pasti. La seconda mattina, aveva un diavolo per capello perché un contadino aveva legato il suo asino accanto alla siepe. A intervalli regolari, la bestia alzava il muso e gettava un lugubre raglio. “Ma ditemi voi!” proruppe Larry “Non è da ridere che le future generazioni debbano essere private della mia opera solo perché un ilota cretino ha legato quella puzzolente bestia da soma vicino alla mia finestra?».

Durante la guerra Lawrence lascia Corfù, dove la famiglia Durrell si era trasferita in fuga dalla fredda e costosa Londra, e approda in Egitto. Lavora nell’intelligence per il ministero degli esteri inglese e scrive. Qui, ad Alessandra, ambienta la tetralogia che sarà pubblicata alla fine degli anni Cinquanta.

Clea e Justine

Dicevo dei nomi, e del sesso. I quattro romanzi sono ambientati più o meno nello stesso posto e nello stesso tempo e raccontano, più o meno, le stesse vicende. Ma da punti di vista diversi. La città è affollata di santi e puttane, mistici, maghi, avventurieri e soldati. Tra questi due donne, Clea e Justine, protagoniste eponime di due dei quattro romanzi. Il mio segno e il mio ascendente.

Justine è una donna bellissima, piena di segreti e amanti. «Come devo sembrarti disgustosa, con la mia oscena mescolanza di idee contraddittorie. Tutta questa preoccupazione morbosa per il divino e poi un’incapacità totale di aderire al più piccolo imperativo etico che mi giunge dalla mia natura più profonda, come quello di essere fedele all’uomo che amo».

«Le migliori lettere d’amore di una donna sono scritte all’uomo che lei tradisce». Justine dice cose di questo tipo. Sono ninfomane, dice anche, forse. Di certo passa sulla vita delle persone come una tempesta. Ha un enorme dolore che viene dal passato e la tormenta, e la fa “godere tragicamente”, forse è addirittura pazza, ma è irresistibile, per chiunque.

Clea è una pittrice, è bionda e legge i fondi del caffè. Ha una piccola barca per andarsene da sola a nuotare e per sfidare il destino. Sorride, dice «non sono buona a nulla la prima volta» e invece non è vero. È la donna che tutti gli uomini vorrebbero vicino, ma a Clea piacciono soprattutto le donne e in particolare Justine. «Come si fa a rendere chiara sia pure soltanto una verità del cuore umano?», dice Clea e intorno a sé sparge luce e bellezza.

Di entrambe le donne si innamorano Darley, il narratore, tutti i lettori e io in particolare. Non le ho mai dimenticate. Non l’ho mai riletto.

Ho scritto che da loro, da questo romanzo, ho imparato quello che avrei voluto essere: avrei voluto essere un’avventuriera. In parte lo sono diventata, in parte no, ma è ancora quella balorda ispirazione che mi guida. E che il sesso sarebbe stata la zona dell’essere che mi avrebbe insegnato più cose. Una su tutte: non c’è niente di più ingannevole dell’identità.

© Riproduzione riservata

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