"Non si concilia con i tempi delle forze dell'ordine, le donne devono rifugiarsi in luoghi sicuri". Il braccialetto elettronico e il suo sistema di funzionamento tornano al centro delle polemiche, stavolta dopo le parole pronunciate dal guardasigilli Carlo Nordio.
Al question time al Senato il ministro esprime una sua riflessione, spiegando che il dispositivo "molto spesso è incompatibile con i mezzi di trasporto delle persone: nel momento dell'allarme nei confronti di una persona, molto spesso la vittima si trova ad una distanza" troppo lunga rispetto alle possibilità di intervento degli agenti. Dunque - prosegue - "bisogna coniugare questi due elementi dando un'allerta alla vittima, affinché sia in grado - nel momento in cui coglie questo momento di pericolo - di trovare delle forme di autodifesa, magari rifugiandosi in una chiesa o in una farmacia, in un luogo più o meno protetto". E allora "sarà il magistrato a valutare quale sia la distanza sufficiente per poter assicurare le due parti".
Non è la prima volta che viene messa in discussione la piena efficienza del dispositivo, che in Italia è attivato ai polsi o alle caviglie di 13mila persone per vari reati, di cui oltre 5.800 per stalking e settemila per il monitoraggio. Ma in alcuni casi non è bastato a salvare la vita delle vittime, come nelle vicende di Camelia Ion, Celeste Palmieri e Roua Nabi, uccise in tre diversi episodi nel 2024 dal proprio ex, che avevano tutte già denunciato.
L'anno precedente era accaduto lo stesso a Concetta Marruocco nell'Anconetano: il suo ex marito, che era sottoposto alla misura del braccialetto elettronico, entrò in casa e accoltellò la donna senza che la sua presenza fosse rilevata in tempo.
"Mia sorella non era in chiesa né in farmacia, ma era in casa e non era al sicuro, esiste un posto più sicuro della propria casa? Non so se sia un problema di gps o di linea, ma le parole del ministro dimostrano che il sistema è sbagliato e che il braccialetto è inutile e serve solo a stressare la vittima. Facciano misure più efficaci e restrittive, perché gli aggressori non possono restare in libertà e tenere la vittima in un continuo stato di paura", dice Raffella Marruocco, 61 anni, sorella di Concetta, commentando le parole del ministro. "Bisogna studiare bene delle alternative, evitando rimedi fittizi che non servono a nulla", aggiunge il suo legale Giuseppe Villa.
E per l'avvocato Ettore Censano che per anni ha seguito le vicende di Celeste Palmieri, un'altra donna stavolta uccisa nel Foggiano, "Nordio ha detto l'ovvio. Il problema del marito della signora Celeste è che doveva essere custodito in maniera più rigorosa. Ricordo che pochi giorni prima il dispositivo le era suonato e lei aveva trovato rifugio in una chiesa. Purtroppo quel giorno non ce l'ha fatta". A rassicurare è però la ministra per le Pari Opportunità Eugenia Roccella, la quale ricorda che nel nuovo disegno di legge sul femminicidio, "proprio perché i braccialetti hanno dei limiti oggettivi, sono previste misure restrittive più dure per rafforzare la tutela delle vittime. Chi in Parlamento ha a cuore la sicurezza delle donne ha dunque uno strumento immediato per rafforzarla ulteriormente". Ed esorta ad "esaminare velocemente la nuova legge sul femminicidio e votarla con spirito unitario". Ma la polemica è innescata e ad insorgere sono anche le componenti M5s e Pd della commissione parlamentare contro il femminicidio. "Da Nordio giungono parole irresponsabili", dice la vicepresidente dem Cecilia D'Elia mentre le parlamentari Cinque Stelle nella commissione bicamerale di inchiesta le bollano come "vergognose".
Stesse reazioni dalle associazioni: Differenza Donna ritiene l'atteggiamento del guardasigilli come uno "scaricabarile istituzionale" e Donne in Rete contro la violenza lo definisce "irresponsabile".
L'affermazione del ministro è "un'inaccettabile scaricabarile istituzionale", afferma la presidente di Differenza Donna, Elisa Ercoli. "Il braccialetto elettronico, se effettivamente disponibile, funzionante e correttamente monitorato, è uno strumento utile - sottolinea - per vigilare sul rispetto delle misure cautelari. Il problema non è il dispositivo in sé, ma l'assenza di un sistema strutturato ed efficiente per la sua gestione. È necessario che le forze dell'ordine siano dotate non solo di strumenti tecnologici, ma anche di personale dedicato al monitoraggio, formato con competenze specifiche sulla valutazione del rischio, sulla recidiva e sulla protezione delle vittime".
Il punto "non è garantire un rifugio" ma, secondo le avvocate di Differenza Donna Teresa Manente e Ilaria Boiano, è "garantire il rispetto delle misure cautelari puntando al massimo della tutela per l'incolumità psicofisica delle donne".
Elisa Ercoli precisa inoltre che "l'obbligo dello Stato non è quello di indicare alla donna una farmacia o una chiesa dove ripararsi, ma è quello di dotare il Paese di una rete capillare di Centri Antiviolenza e Case Rifugio, affidati a soggetti specializzati e competenti. La protezione delle donne deve essere garantita - conclude - da risorse pubbliche, scelte politiche chiare e investimenti stabili in prevenzione, protezione e giustizia".
"Riteniamo irresponsabile che un ministro della Giustizia si esprima in termini così superficiali e approssimativi in merito alla sicurezza delle donne a rischio perché minacciate da un uomo maltrattante. Nessun accenno all'attività fondamentale svolta dai centri antiviolenza: una donna che si senta a rischio non deve cercare una chiesa o una farmacia in cui rifugiarsi, ma deve chiamare un centro antiviolenza e confrontarsi con esperte capaci di valutare il rischio connesso alla situazione che sta vivendo e soprattutto di affiancarla nella gestione di quel momento così delicato", afferma la presidente D.i.Re - Donne in Rete contro la violenza Cristina Carelli.
"Lavoriamo affinché le donne sappiano che - sottolinea - si possono rivolgere ai centri antiviolenza e a istituzioni capaci di intervenire in rete con questi soggetti indispensabili, per la profonda conoscenza del fenomeno, degli effetti che produce sui vissuti delle donne e per la capacità di ascoltare e supportare le donne senza rivittimizzare".
Secondo Carelli, "ancora una volta la responsabilità ricade sulle donne che subiscono le azioni violente dei maltrattanti, anziché sullo Stato che non mantiene gli impegni presi. Le affermazioni del ministro ci fanno capire che purtroppo manca ancora una presa di coscienza di quello che è la violenza maschile alle donne e del fondamentale ruolo dello Stato nelle azioni di prevenzione e protezione. E' anche importante segnalare che ad oggi - conclude la presidente - non risulta alcun monitoraggio, né rispetto alle dotazioni, né ai molti malfunzionamenti segnalati".
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