Oriente Occidente di Rampini | Coi dazi Trump vuole reindustrializzare gli Usa. Gli manca qualcosa: gli operai | Corriere.it


Trump's tariffs aim to reindustrialize the US, but a shortage of skilled and willing workers, due to factors such as welfare benefits and educational choices, hinders this goal.
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I dazi annunciati nel Liberation Day del 2 aprile hanno diversi obiettivi (spesso non compatibili fra loro). Tra questi figura la reindustrializzazione dell’America. Non è una novità, e non è una prerogativa di Donald Trump. Joe Biden perseguiva lo stesso obiettivo, in parte anche con strumenti analoghi. 

L’Amministrazione Biden-Harris mantenne in vigore tutti i dazi introdotti dal primo Trump, ne aggiunse di suoi, e soprattutto rafforzò il protezionismo americano con una politica industriale generosa di aiuti di Stato: sussidi pubblici alle aziende estere che venivano a costruire fabbriche e assumere manodopera negli Stati Uniti. I due provvedimenti principali di Biden furono l’Inflation Reduction Act e il Chips Act: erogavano centinaia di miliardi alle aziende che investivano in America. È protezionismo anche quello, perché crea un vantaggio competitivo in favore della produzione nazionale.

Un problema con cui si scontrò l’Amministrazione Biden, io lo raccontai… da Taiwan. Durante un mio viaggio su quell’isola, sede della maggiore azienda mondiale di semiconduttori o microchip, la Tsmc, intervistai i manager taiwanesi sui loro investimenti in America. La Tsmc aveva accettato gli incentivi di Biden e stava costruendo due nuove fabbriche sul suolo Usa (da allora ha aumentato ulteriormente i suoi investimenti, portandoli sotto Trump oltre i cento miliardi). 

Ma per quanto volessero compiacere l’Amministrazione Biden-Harris, i miei interlocutori taiwanesi non riuscivano a nascondere il loro disappunto per la cattiva qualità della manodopera da loro reclutata negi Stati Uniti: a fronte degli altissimi salari americani, la produttività era inferiore a quella delle maestranze taiwanesi, la competenza, la disciplina, l’etica del lavoro non erano paragonabili rispetto all’Asia. Tutto procedeva più lentamente e a costi superiori in America.

Quelle lamentele che raccolsi fra i manager taiwanesi tornano attuali oggi. Trump è stato eletto con una maggioranza di voti operai e vuole mantenere le promesse che fece ai lavoratori: aggiustare le storture della globalizzazione, difenderli dalla concorrenza sleale della Cina e di altri. 

Però sia Trump sia i suoi elettori operai sognano una reindustrializzazione americana resa ardua proprio dal tramonto della figura operaia. A questo tramonto hanno contribuito le politiche scolastiche, e il Welfare (che in America è ben più generoso di quanto si creda in Europa). 

È un declino che ha molti aspetti, vengono riassunti con efficacia da una opinionista conservatrice, Allysia Finley, in un’analisi pubblicata sul Wall Street Journal con il titolo «A Good Man for U.S. Manufacturing Is Hard to Find». Eccolo, è una miniera di dati sul perché gli operai scarseggiano:

«Il Presidente Trump proclama che i suoi dazi riporteranno i posti di lavoro manifatturieri negli Stati Uniti. Buona fortuna a trovare lavoratori per occupare questi posti. Un lamento comune tra i datori di lavoro, soprattutto nel settore manifatturiero, è che non riescono a trovare lavoratori affidabili, coscienziosi e in grado di superare un test antidroga. Le donne single potrebbero capire: trovare un buon lavoratore, come un buon marito, oggi è diventato difficile. La colpa è del governo, che distribuisce benefici a persone abili che non lavorano, mentre allo stesso tempo sovvenziona lauree universitarie che non portano a un impiego produttivo. Il risultato è milioni di uomini inattivi e milioni di posti di lavoro vacanti — una perdita secca per la società.

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A marzo, il 40% delle piccole imprese ha segnalato offerte di lavoro vacanti che non riusciva a riempire, con percentuali ancora maggiori nei settori dell’edilizia (56%), dei trasporti (53%) e della manifattura (47%), secondo l’indagine della National Federation of Independent Business. 

Anche il sondaggio del Dipartimento del Lavoro racconta una storia simile. Ci sono il doppio delle offerte di lavoro nella manifattura rispetto alla metà degli anni 2000, in rapporto all’occupazione. Escludendo il periodo della pandemia, la carenza di manodopera negli Stati Uniti è la peggiore degli ultimi 50 anni.

Decenni fa, la tecnologia che aumentava la produttività e, sì, le importazioni a basso costo hanno fatto perdere il lavoro a molti uomini che lavoravano nelle fabbriche, costringendoli a uscire dalla forza lavoro. Ma quella generazione si sta avviando al tramonto, e sono sempre meno i giovani americani disposti a lavorare in fabbrica.

Il tasso di partecipazione alla forza lavoro tra gli uomini in età lavorativa è oggi circa cinque punti percentuali più basso rispetto ai primi anni ’80. Di conseguenza, ci sono circa 3,5 milioni di uomini in meno tra i 25 e i 54 anni nella forza lavoro, e 1,3 milioni in meno tra i 25 e i 34 anni, rispetto a quanti ce ne sarebbero stati senza questo declino.

La partecipazione al lavoro tra le donne in età lavorativa, invece, ha raggiunto un record, in parte perché fanno meno figli (un fenomeno legato alle difficoltà nel trovare partner adatti). A rischio di cadere negli stereotipi, le donne sono più inclini verso le professioni «di aiuto» — come i servizi — rispetto a quelle che richiedono lavoro fisico.

Allora, dove sono finiti tutti i buoni lavoratori uomini? Alcuni sopravvivono con i sussidi statali o vivono con i genitori. Circa il 17% degli uomini in età lavorativa riceve Medicaid (assistenza sanitaria pubblica per i meno abbienti), il 7,4% riceve buoni pasto, e il 6,3% riceve la Social Security (pensioni d’invalidità), secondo il Census Bureau. Molti passano le giornate a giocare ai videogiochi o a fare trading online.

Amici raccontano di aver visto giovani uomini su app di incontri che dichiarano di lavorare come trader autonomi, blogger finanziari o persino «ingegneri finanziari in pensione» — evidenti eufemismi per «bro di Robinhood» che speculano in Borsa e condividono consigli su Reddit. Quando i mercati salivano, molti non avevano bisogno di lavorare nel senso tradizionale. Dopo il crollo della scorsa settimana, potrebbero doverlo fare.

Altri uomini «scomparsi» stanno impiegando più tempo per terminare l’università o stanno seguendo corsi post-laurea. Solo circa il 41% degli uomini conclude la laurea triennale in quattro anni, e circa un quarto impiega più di sei anni. Molte professioni ben retribuite non richiedono una laurea, ma i sussidi pubblici e le scuole pubbliche indirizzano comunque gli studenti verso l’università.

I prestiti studenteschi federali non finanziano apprendistati negli istituti tecnici e professionali, ma coprono invece i costi di lauree inutili in organizzazione comunitaria, scrittura creativa, turismo, danza e simili. Raramente serve un titolo avanzato per lavorare in questi campi, ma le università hanno convinto gli americani del contrario per incassare più fondi federali.

Molti Millennial e «zoomers» della Gen Z faticano a trovare lavoro nei settori per cui hanno studiato e non vogliono lavorare in altri — o in impieghi che ritengono inferiori. Così alcuni semplicemente non lavorano.

Consideriamo questo dato: il tasso di disoccupazione tra i neolaureati in sociologia è del 6,7% e il loro salario mediano è di 45.000 dollari, secondo la Federal Reserve di New York. I laureati in sociologia potrebbero guadagnare il doppio lavorando in una catena di montaggio automobilistica, dove lo stipendio medio annuo è di circa 100.000 dollari. Bel lavoro, ma in pochi lo vogliono.

La realtà è che molti giovani, ai quali è stato insegnato che il capitalismo è sfruttatore, non vogliono lavorare in fabbrica. Preferiscono vivere a carico dei contribuenti o dei genitori. Tuttavia, anche molti uomini che non frequentano l’università non vogliono lavorare in fabbrica o in altri mestieri manuali, forse perché non credono che ci sia dignità in quei lavori. Solo il 31% dei lavoratori manuali ritiene che il proprio lavoro sia rispettato, secondo un sondaggio del Pew Research Center della scorsa settimana.

C’è da meravigliarsi, quando i politici di entrambi gli schieramenti proclamano che questi lavoratori sono sfruttati? C’è dignità in ogni lavoro, un messaggio che il presidente dovrebbe sottolineare. Il declino del lavoro tra i giovani uomini è un problema molto più grande per la vitalità economica e culturale della nazione rispetto al calo dei posti di lavoro manifatturieri. E non potrà essere risolto con i dazi».

9 aprile 2025, 17:51 - modifica il 9 aprile 2025 | 18:42

© RIPRODUZIONE RISERVATA

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