di Giuseppe Sarcina
Dopo le prime concessioni alle Big Tech, la Casa Bianca pensa di gestire diversi dossier nei negoziati sulle tariffe. E chiede agli europei di acquistare più armi
DAL NOSTRO INVIATO NEW YORK - Gas, difesa, armi. Più che una trattativa economica sui dazi, Donald Trump sembra avere in mente un gran bazar. Un tavolo unico su cui confluiscono dossier che fino al suo arrivo alla Casa Bianca erano distinti. Ci saranno pretese specifiche, sostenute da alcune delle lobby finanziarie e industriali più potenti del Paese. Trump è in ascolto. Non a caso ieri ha sottratto alla scure dei dazi gli smartphone, i computer e tutti i dispositivi elettronici importati, in larghissima parte, dalla Cina. Evidentemente le pressioni di Apple, Microsoft, Dell e altri big del digitale hanno fatto breccia. Per il resto il grande negoziato è solo allâinizio.
Punto di partenza resta, naturalmente, il tabellone con i dazi, per ora sospesi per 90 giorni. Trump e i fautori della linea dura guardano un solo numero: 1.211 miliardi di deficit commerciale accumulato nel 2024. In realtà , se conteggiamo il surplus derivato dalla vendita di servizi allâestero, lo squilibrio si riduce a 918,4 miliardi. Sempre troppi per i trumpiani che fingono di non sentire le analisi di quasi tutti gli economisti. Nel caso dellâAmerica il deficit è un segnale di forza, perché è la prova di quanto sia talmente robusta la domanda di beni e servizi che la produzione nazionale non riesce a coprirla. Ma tantâè. Nei prossimi tre mesi il team della Casa Bianca farà pressione sullâUnione europea e su circa 70 Paesi per riequilibrare i rapporti economici.
Dal 2017 gli Stati Uniti sono il maggiore esportatore di gas del mondo. Un colossale giro dâaffari che può contare sui clienti vicini, come Canada e Messico, e su destinazioni lontane, raggiunte con le navi cariche di gas liquido (Gnl). La Casa Bianca consulta regolarmente la classifica degli acquirenti e i volumi dellâexport in crescita costante, soprattutto da quando la Russia ha perso terreno sul mercato. Il gas liquido è, inevitabilmente, più caro di quello trasportato con i tubi. Sui costi incidono tre passaggi: la liquefazione, il trasbordo, la rigassificazione. Fino al 2022 il Gnl americano costava anche il 30-40% in più di quello russo. La guerra in Ucraina ha cambiato lo scenario: oggi il costo per megawattora si aggira sui 25 euro, la metà del prezzo corrente europeo.Â
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Già con Biden presidente, gli Usa spingevano per conquistare altre quote di mercato. Trump sta accelerando. Ai primi posti della classifica dei compratori, ci sono Giappone, Corea del Sud e Brasile. LâUnione europea è una delle destinazioni con maggiore potenzialità di crescita. In particolare, secondo i calcoli di Washington, alcuni Stati potrebbero agevolmente aumentare gli acquisti. Tra questi câè lâItalia, posizionata al 22° posto della graduatoria, alle spalle anche di Bangladesh o Croazia. I produttori di gas Usa attingono ai capitali dei grandi della finanza Usa, come il fondo Vanguard Group o BlackRock. Una cordata poderosa, dunque.
Gli Usa dispongono di basi militari in circa 80 Paesi del mondo. Secondo le stime dellâInternational Institute for Strategic Studies (Iiss) questo apparato costa ogni anno 55 miliardi di dollari al bilancio americano. Una quota di spese è comunque sostenuta dai Paesi che ospitano le infrastrutture militari. Il Giappone, per esempio, da qualche anno copre circa lâ85% delle uscite. Ma altri, come Corea del Sud e Germania, arrivano al 30-40%. I coreani hanno già fatto sapere che sono pronti ad aumentare «in modo sostanzioso» il loro contributo, pur di arrivare a unâintesa sui dazi. Si inserisce in questo quadro anche la discussione sulle spese per la Nato. Il segretario di Stato Marco Rubio insiste su quella che sta diventando una percentuale-totem: 5% del prodotto interno lordo per la Difesa. Gli Usa, oggi al 3,4%, dovrebbero salire dagli attuali 900 miliardi a 1.300: una somma difficilmente compatibile con lâequilibrio dei conti pubblici americani. I Paesi europei sono rassegnati allâidea di fare di più. Attenzione al calendario: i tre mesi di moratoria sui dazi scadono subito dopo la conclusione del vertice Nato a fine giugno.
Secondo lo Stockholm International Peace Research Institute, le aziende americane hanno aumentato del 233% la vendita di armi ai Paesi europei, nel periodo dal 2020 al 2024. Il riarmo era iniziato già prima dellâattacco russo allâUcraina. Dopo il 24 febbraio 2022 è accelerato in modo vorticoso. Finora lâegemonia statunitense nel Vecchio continente non è stata messa in discussione. Gli Usa piazzano il 35% del loro export tra gli alleati europei della Nato. La dipendenza militare è evidente a tutti i livelli: militare, strategico, industriale. Trump, però, teme che i piani sulla difesa comune europea possano erodere il business dei big del settore, da Lockheed Martin a Boeing, da Raytheon a General Dynamics, a vantaggio dei concorrenti francesi, tedeschi e italiani. Lâamministrazione Trump ha già iniziato a chiedere agli europei di comprare ancora più armi. Insisterà nei prossimi mesi, agitando la minaccia dei dazi. In parallelo le stesse pressioni verranno esercitate su altre nazioni, come India, Corea del Sud, Giappone.
12 aprile 2025 ( modifica il 13 aprile 2025 | 08:18)
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