giovedì 19 giugno 2025, 15:16
«Il mieloma multiplo è una malattia che impegna molto i pazienti e i caregiver. È considerata una malattia dell'anziano - 70 anni è l'età mediana dei nostri pazienti - anche se sempre di più abbiamo diagnosi in pazienti più giovani al di sotto dei 50 anni». A segnalarlo, pur precisando che la quota di pazienti che ha meno di 50 anni alla diagnosi resta comunque intorno «al 10%», è stata oggi Maria Teresa Petrucci, dirigente medico di Ematologia, Azienda ospedaliero-universitaria Policlinico Umberto I di Roma, durante un incontro promosso a Milano da Pfizer dopo la pubblicazione della determina Aifa che rende ufficialmente disponibile in Italia in regime di rimborsabilità un nuovo anticorpo bispecifico, elranatamab.
Il farmaco è indicato in monoterapia per il trattamento dei pazienti adulti affetti da mieloma multiplo recidivato e refrattario, che abbiano ricevuto almeno 3 terapie precedenti, tra cui un agente immunomodulante, un inibitore del proteasoma e un anticorpo anti-CD38, e abbiano dimostrato progressione della malattia con l'ultima terapia. Si tratta dunque di casi molto difficili di una malattia complessa e che può essere invalidante, spiegano gli esperti. «Ricevere una diagnosi di mieloma multiplo è un evento traumatico, che travolge il paziente e la sua famiglia. In una patologia fatta di fasi, con recidive via via più invalidanti, è fondamentale prendersi cura della persona nel suo insieme», ha fatto notare Rosalba Barbieri, vicepresidente Ail (Associazione italiana contro leucemie, linfomi e mieloma), raccontando di una «battaglia» particolarmente sentita dall'associazione: quella sulle «buone pratiche che riguardano la figura dello psicologo», una figura cruciale per supportare il paziente nel suo percorso ma su cui si rileva una carenza.
Secondo Barbieri, infatti, va rafforzato «un approccio multidisciplinare che includa anche il supporto psicologico e la consulenza nutrizionale, offrendo assistenza qualificata in ogni fase del percorso di cura. Solo così possiamo restituire dignità, umanità e speranza alla cura». Il supporto psicologico è ancora un bisogno insoddisfatto? «Purtroppo - ha spiegato Barbieri - il problema è che oggi ci sono ancora pochi centri di ematologia e oncologia che prevedono una figura dello psicologo fissa in reparto, non uno psicologo qualunque ma uno psicologo formato per pazienti con patologie oncoematologiche. Ail ha toccato con mano questa carenza del nostro sistema sanitario e ha promosso corsi formazione».
Fino ad oggi, ha continuato Barbieri, «sono stati formati più di 60 psicologi che lavorano nei reparti finanziati dalle sezioni Ail. In alcuni ospedali sono stati poi assunti dall'azienda ma sono professionisti che vanno retribuiti e devono poter svolgere il loro lavoro. Oggi anche gli ematologi hanno capito quanto sia importante avere lo psicologo accanto dal primo momento di fronte allo sconvolgimento della diagnosi, ma anche delle recidive che sono tutte stangate che arrivano. Lo psicologo segue non solo il paziente ma anche il familiare. I caregiver hanno un ruolo pesantissimo perché si fanno carico di tante cose, e anche loro devono essere sostenuti».
«La recidiva fa parte della storia naturale della malattia e serve creare un percorso per i pazienti, è fondamentale la presenza di un team ed è fondamentale l'aspetto psicologico - ha confermato anche Petrucci - Il paziente sa che prima o poi dovrà cambiare terapia ed è il momento peggiore, a volte addirittura più della diagnosi. Nel momento della recidiva la maggior parte dei pazienti dice: 'Sapevo che prima o poi sarebbe arrivata, ma non me l'aspettavo'. Il discorso psicologico e il supporto dello specialista è dunque importante nell'ottica della cronicità malattia. Sono pazienti che vanno presi in carico a 360 gradi.
È fondamentale la collaborazione per puntare alla qualità di vita, una problematica che quando il paziente aveva una sopravvivenza di 14 mesi era l'ultimo nostro pensiero, ma ora parliamo di anni e di decenni e dobbiamo dunque ancora di più assicurare al paziente una buona qualità di vita». C'è poi un altro aspetto, ha evidenziato Barbieri: «Oggi ci dobbiamo chiedere chi sono gli anziani colpiti da mieloma multiplo. Io per esempio sono un'anziana, ho più di 70 anni ma ho una vita molto attiva. Noi immaginiamo che gli anziani siano persone a riposo, sempre sedute in poltrona. Ma oggi abbiamo pazienti cosiddetti anziani che ancora lavorano, aiutano i familiari, sono nonni che si occupano dei nipoti e quant'altro. Quindi, nel momento in cui una diagnosi di una malattia così grave arriva nella famiglia è uno sconvolgimento totale.
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Si viene a contatto con una malattia che è caratterizzata da parole negative come recidiva, refrattario, fallimento, e il paziente vede davanti a sé un tunnel probabilmente buio e nero. Noi come associazione pazienti cerchiamo di venire in soccorso accogliendo innanzitutto il paziente e facendogli sentire che c'è qualcuno ad aiutarlo, facilitando ad esempio gli accessi all'ospedale, la possibilità di non doversi sottoporre a viaggi estenuanti dall'ospedale a casa. Sono solo alcune delle cose che possono servire. Qualità di vita vuol dire tante cose: poter fare le proprie mansioni quotidiane senza bisogno di qualcuno che ti sorregga perché hai dolori, poter uscire liberamente, incontrare gli amici, andare a fare una passeggiata o un viaggio. Tutto questo può non esistere più per i pazienti. E uno dei sostegni deve essere psicologico».
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